Dottor Pairone, la noia è un argomento caldo al giorno d’oggi?
Sì, purtroppo quella della noia è una problematica sempre più evidente tra i ragazzi. Non a caso, a vincere la scorsa edizione del Festival di Sanremo è stata una canzone dal titolo “La Noia”. Angelina Mango è una 22enne che ha portato in scena un testo che perfettamente incarna la sua generazione e quella più giovane.
Cosa s’intende, nello specifico, per noia?
Si tratta di un sentimento di apatia, scarsa motivazione e solitudine, o addirittura abbandono nei casi più estremi. Tali sono i sintomi percepiti.
Chi prova noia ne è consapevole?
Nella maggior parte dei casi no: infatti, è importantissimo lavorare sulla consapevolezza, per imparare ad individuare i meccanismi psicologici sottostanti alla noia, poiché spesso chi la sente non la riconosce.
Come si risolve?
Sarebbe opportuno capirne le cause e tenere presente il fatto che è anche una questione fisiologica: gli adolescenti, sebbene abbiano livelli di dopamina inferiori rispetto ad altre età, hanno un rilascio di dopamina superiore alla media, e di conseguenza sono più inclini a ricercare la gratificazione, la ricompensa, qualcosa che li faccia sentire più felici, vivi e appagati. Ecco perché si arriva alla messa in atto di comportamenti a rischio o disfunzionali.
Qual è la causa principale dell’avanzare della noia tra i ragazzi?
Oggigiorno, ci troviamo all’interno della società della performance, la quale spinge soprattutto i giovani ad inseguire in continuazione obiettivi spesso irraggiungibili, come ricchezza e fama. Questo accade anche a causa degli standard trasmessi dai social media, dalla scuola, ma anche dai genitori stessi, i quali contribuiscono a diffondere il messaggio del “devi fare” e del “devi diventare”. Succede allora che i ragazzi, abituati alla continua ricerca di uno scopo, finiscano col percepire il tempo libero come uno spazio da riempire a tutti i costi, con l’uso dello smartphone ad esempio, per non soccombere alla frustrazione della noia.
Quando si capisce che bisogna chiedere aiuto ad uno psicologo?
Di solito, è il genitore a cercare l’aiuto di uno specialista quando è insoddisfatto degli atteggiamenti del figlio o della figlia. Normalmente, lamenta il fatto che trascorre troppo tempo col cellulare in mano ed è spesso annoiato/a.
Per spiegare meglio questo problema, voglio ricorrere ad un esempio pratico:
Ho svolto un percorso, un po’ di tempo fa, con la madre di una ragazza di 16 anni che a casa passava molto tempo al telefono: tutti i suoi momenti liberi li trascorreva a scrollare sul cellulare. Sua madre era molto preoccupata, in quanto avrebbe voluto che sua figlia impiegasse il suo tempo libero in modo più sano. Ovviamente, questo generava conflitti con la ragazza e, di conseguenza frustrazione, per i genitori.
In realtà, si è poi scoperto che la figlia era già piena di impegni: andava a scuola, faceva nuoto 3 volte a settimana, svolgeva con regolarità i molti compiti scolastici, ecc. Quindi, abbiamo deciso di lavorare innanzitutto sulla comunicazione con la ragazza, cercando di migliorare l’assertività e la capacità di esprimere i propri bisogni da parte della madre. E in seguito ci siamo concentrati maggiormente sul sentimento di frustrazione della paziente, al fine di conoscere meglio i motivi per cui ne soffriva. L’obiettivo è stato capire insieme che il suo compito non doveva essere quello di imporre a sua figlia di fare qualcosa, bensì aiutarla a riconoscere la noia e a gestire l’attesa, senza “riempire” quest’ultima con comportamenti poco sani. Se è importante provare a rendere i ragazzi più partecipi nell’organizzazione della quotidianità familiare, è ugualmente importante rispettare i loro spazi quando essi ne hanno voglia e/o bisogno.
Quanto tempo durano percorsi psicologici come questo?
Il tempo necessario per permettere all’utente di potenziare la propria consapevolezza e di mettere in atto in modo autonomo le strategie di gestione del malessere percepito. Solitamente, circa 3 o 4 mesi.
Elaborazione a cura di Stefania Albanese
Dott. Alessandro Pairone
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