Educatore, una figura per soli bambini?

La figura dell’educatore è in forte sviluppo in Italia, anche se molti ancora non sanno di cosa si occupa

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In questo articolo abbiamo intervistato il Dott. Andrea Bordogna del Centro Clinico Sinaptica per saperne di più sulla figura dell’educatore e sulle sue mansioni.


Dottor Bordogna, cosa s’intende con il termine “educatore”?

L’educatore è quel professionista che realizza un’azione educativa, contribuendo alla crescita umana di una persona. Si tratta di un ruolo diverso rispetto a quello dello psicologo e dello psicoterapeuta in quanto queste due figure generalmente operano in studio o in struttura. Viceversa, l’educatore vede il paziente nella sua quotidianità, con il compito di fare da “io-ausiliario” e dunque aiutarlo concretamente nella vita reale e nello svolgimento delle sue mansioni di tutti i giorni: dal fare la spesa alla passeggiata pomeridiana, e tutte quelle cose che il paziente non riesce più a svolgere in autonomia. Possiamo definire la figura dell’educatore come complementare a quelle dello psicologo e dello psicoterapeuta nei casi in cui la persona necessiti di qualcuno al suo fianco nella vita di tutti i giorni: è colui che, insieme allo specialista, cerca di capire i bisogni e gli interessi del paziente (che spesso non ne manifesta alcuno) e lo accompagna nel compimento.


Quando si parla di “educazione” vengono subito in mente i bambini. Questo servizio, però, mi sembra non essere rivolto esclusivamente ad un pubblico giovanissimo, giusto?

Esatto. Le persone pensano che solo ed esclusivamente i bambini e i ragazzi giovani possano avere bisogno di un educatore, ma non è così­: il paziente può essere di qualsiasi età, anzi, spesso si tratta di persone adulte con alle spalle molti problemi.


Chi stabilisce che una persona ha bisogno dell’educatore?

Non c’è un format specifico che stabilisce la necessità di un educatore per un paziente. Generalmente si tratta di persone che si rivolgono al terapeuta che, dopo un’approfondita analisi, decreta la necessità del paziente di avere una persona al suo fianco che lo aiuti appunto nello svolgimento di qualcosa in particolare o più semplicemente delle mansioni quotidiane. Con bisogno non s’intende il fatto che il paziente non sia in grado di svolgere tali mansioni in autonomia dal punto di vista fisico, quanto più dal punto di vista mentale (come nell’esempio del far la spesa, l’educatore non aiuta il paziente perché è impossibilitato fisicamente, ma perché non è motivato a farla, spronandolo e facendogli capire che è la cosa giusta da fare e, perciò, va fatta).
Spesso questo concetto viene erroneamente confuso con la pigrizia: sono due cose diverse in quanto il pigro non ha voglia di fare, mentre il paziente di cui stiamo parlando noi non lo fa perché gli mancano le motivazioni per svariate cause (spesso anche complicate da capire) e serve perciò qualcuno che lo motivi.

In alcuni casi, invece, sono amici o parenti della persona in difficoltà che si rivolgono all’educatore per chiedere aiuto.

Il rapporto che si instaura tra l’educatore ed il paziente generalmente è più stretto di quello che si instaura tra paziente e terapeuta proprio perché il tempo trascorso è decisamente maggiore.

Il paziente accetta fin da subito la figura dell’educatore? Si rende conto di averne bisogno?

Non sempre la figura dell’educatore è ben accetta da parte del paziente proprio perché quest’ultimo non crede di averne bisogno, si sente “sottovalutato” quando gli viene detto di necessitare di un educatore; altre volte servono mesi prima che il paziente accetti a figura dell’educatore. La forza sta nello spiegargli che questa pratica viene messa in atto per lui e non c’è alcun “complotto” nei suoi confronti.


Alla fine della terapia educativa qual è il risultato che si vuole ottenere?

Questa terapia mira a rendere più autonomo il paziente risolvendo i problemi psicosociali che non gli permettono tale autonomia. Per rispondere a questa domanda, vorrei portare alla luce un esempio pratico.

La storia di Gianluca, 26 anni ed un passato molto travagliato. Con diversi TSO (Trattamenti Sanitari Obbligatori) per deliri paranoici alle spalle, il giovane ragazzo non aveva una vita sociale e non aveva nessun amico. Dopo una prima fase di trattamento farmacologico, con la famiglia si è convenuto che fosse necessario un intervento rieducativo. Per lui già la relazione con me è stata una novità, ed ha riscoperto la fiducia in una figura coetanea che gli è servita molto. In poco tempo, Gianluca è riuscito in un grande cambiamento, arrivando persino a prendere la patente di guida nonostante le sue capacità cognitive compromesse. Oggi non è più un problema per lui uscire in compagnia, andare a mangiare una pizza o bersi una birra al pub.


Intervista al Dott. Andrea Bordogna a cura di Davide Clivio

Elaborazione articolo a cura di Giorgia Della Bosca

Dott. Andrea Bordogna
Centro Clinico Sinaptica con sede a Torino
Tel. 340 292 8062

Le informazioni contenute in questo sito sono presentate a solo scopo informativo, in nessun caso possono costituire la formulazione di una diagnosi o la prescrizione di un trattamento, e non intendono e non devono in alcun modo sostituire il rapporto diretto medico-paziente o la visita specialistica.

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